lunedì 26 dicembre 2011

LibroForum - Gomorra - Roberto Saviano





Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra

“Ora invece la flessibilità dell’economia ha determinato che piccoli gruppi di boss manager con centinaia di indotti, ognuno con compiti precisi, si siano imposti sull’arena economica e sociale. Una struttura orizzontale, molto più flessibile di Cosa Nostra, molto più permeabile a nuove alleanze della ‘ndrangheta, capace di alimentarsi continuamente di nuovi clan, di nuove strategie, gettandosi sui mercati d’avanguardia.”

Roberto Saviano, da mesi in testa alle classifiche di vendita con il suo Gomorra, è praticamente scomparso, tenuto sotto stretta sorveglianza dopo le minacce avute dalla camorra e impossibilitato a muoversi liberamente perché rischia davvero la vita. E la camorra non dimentica…
Ma ora scorriamo brevemente, per chi non l’ha letto, questo libro giudicato tanto pericoloso dai criminali.



Partiamo dai numeri: per ogni affiliato alla mafia, ci sono cinque camorristi, addirittura otto se paragonati agli ‘ndranghetisti.
Il Sistema, dice Saviano, “è cresciuto come una pasta messa a lievitare nei cassoni di legno della periferia”, sottovalutato dalle Istituzioni che lo giudicavano un fenomeno di degrado delle periferie, è riuscito ad infiltrarsi nei Comuni più piccoli: ben 71 consigli comunali in Campania sono stati sciolti dal 1991 per infiltrazione camorristica.

Il libro si apre e si chiude sul tema delle merci: il grande porto di Napoli, e gli arrivi di capi di ogni genere, stoccati e occultati. Appartamenti fantasma che nascondono ogni tipo di prodotto e che si svuotano con la rapidità della luce.
Merci sono anche le scorie radioattive che giungono da tutta Europa e si riversano nelle campagne del napoletano, avvelenando le falde e il terreno. Terreno su cui magari gli stessi boss costruiscono ville lussuosissime, brillanti di marmi e volgarmente appariscenti.

Il vescovo di Nola aveva definito il sud Italia la discarica abusiva della parte ricca della nazione, ma aveva dimenticato che certi traffici superano i confini nazionali e che le scorie giungono nel napoletano da varie parti d’Europa.
Delitti, sangue sparso, ma anche operazioni finanziarie, speculazioni magari legali: tutto produce denaro, quella ricchezza che dà potere che il Sistema esibisce provocatoriamente in modo clamoroso.

Da Secondigliano a Casal di Principe, Saviano denuncia i clan del napoletano e del casertano in modo esplicito: troppo perché non ne dovesse subire le conseguenze…
Qui letteratura e cronaca, dati oggettivi e soggettività si fondono in pagine dalla forza assoluta e appassionanti come un romanzo, qui la violenza e la pervasività del “pensiero” camorristico appaiono in tutta la loro potenza.

Questo libro, scritto da un giovane giornalista, ha avuto la capacità di muovere le coscienze e, avendo fatto esplicitamente i nomi delle persone implicate nei più drammatici casi di cronaca, ha impedito che calasse il silenzio su delitti sia di sangue che economici che troppo spesso vengono messi rapidamente a tacere.


Le prime pagine:

Il porto

Il container dondolava mentre la gru lo spostava sulla nave. Come se stesse galleggiando nell'aria, lo sprider, il meccanismo che aggancia il container alla gru, non riusciva a domare il movimento. I portelloni mal chiusi si aprirono di scatto e iniziarono a piovere decine di corpi. Sembravano manichini. Ma a terra le teste si spaccavano come fossero crani veri. Ed erano crani. Uscivano dal container uomini e donne. Anche qualche ragazzo. Morti. Congelati, tutti raccolti, l'uno sull'altro. In fila, stipati come aringhe in scatola. Erano i cinesi che non muoiono mai. Gli eterni che si passano i documenti l'uno con l'altro. Ecco dove erano finiti. I corpi che le fantasie più spinte immaginavano cucinati nei ristoranti, sotterrati negli orti d'intorno alle fabbriche, gettati nella bocca del Vesuvio. Erano lì. Ne cadevano a decine dal container, con il nome appuntato su un cartellino annodato a un laccetto intorno al collo. Avevano tutti messo da parte i soldi per farsi seppellire nelle loro città in Cina. Si facevano trattenere una percentuale dal salario, in cambio avevano garantito un viaggio di ritorno, una volta morti. Uno spazio in un contai¬ner e un buco in qualche pezzo di terra cinese. Quando il gruista del porto mi raccontò la cosa, si mise le mani in faccia e continuava a guardarmi attraverso lo spazio tra le dita. Come se quella maschera di mani gli concedesse più coraggio per raccontare. Aveva visto cadere corpi e non aveva avuto bisogno neanche di lanciare l'allarme, di avvertire qualcuno. Aveva soltanto fatto toccare terra al container, e decine di persone comparse dal nulla avevano rimesso dentro tutti e con una pompa ripulito i resti. Era così che andavano le cose. Non riusciva ancora a crederci, sperava fosse un'allucinazione dovuta agli eccessivi straordinari. Chiuse le dita coprendosi completamente il volto e continuò a parlare piagnucolando, ma non riuscivo più a capirlo.
Tutto quello che esiste passa di qui. Qui dal porto di Napoli. Non v'è manufatto, stoffa, pezzo di plastica, giocattolo, martello, scarpa, cacciavite, bullone, videogioco, giacca, pantalone, trapano, orologio che non passi per il porto. Il porto di Napoli è una ferita. Larga. Punto finale dei viaggi interminabili delle merci. Le navi arrivano, si immettono nel golfo avvicinandosi alla darsena come cuccioli a mammelle, solo che loro non devono succhiare, ma al contrario essere munte.
Il porto di Napoli è il buco nel mappamondo da dove esce quello che si produce in Cina, Estremo Oriente come ancora i cronisti si divertono a definirlo. Estremo. Lontanissimo. Quasi inimmaginabile. Chiudendo gli occhi appaiono kimono, la barba di Marco Polo e un calcio a mezz'aria di Bruce Lee. In realtà quest’Oriente è allacciato al porto di Napoli come nessun altro luogo. Qui l'Oriente non ha nulla di estremo. Il vicinissimo Oriente, il minimo Oriente dovrebbe esser definito. Tutto quello che si produce in Cina viene sversato qui. Come un secchiello pieno d'acqua girato in una buca di sabbia che con il solo suo rovesciarsi erode ancor di più, allarga, scende in profondità. Il solo porto di Napoli movimenta il 20 per cento del valore dell'import tessile dalla Cina, ma oltre il 70 per cento della quantità del prodotto passa di qui. È una stranezza complicata da comprendere, però le merci portano con sé magie rare, riescono a essere non essendoci, ad arrivare pur non giungendo mai, a essere costose al cliente pur essendo scadenti, a risultare di poco valore al fisco pur essendo preziose. Il fatto è che il tessile ha parecchie categorie merceologiche, e basta un tratto di penna sulla bolletta d'accompagnamento per abbattere radicalmente i costi e I'IVA. Nel silenzio del buco nero del porto la struttura molecolare delle cose sembra scomporsi, per poi riaggregarsi una volta uscita dal perimetro della costa. La mercé dal porto deve uscire subito. Tutto avviene talmente velocemente che mentre si sta svolgendo, scompare. Come se nulla fosse avvenuto, come se tutto fosse stato solo un gesto. Un viaggio inesistente, un pprodo falso, una nave fantasma, un carico evanescente. Come se non ci fosse mai stato. Un'evaporazione. La mercé deve arrivare nelle mani del compratore senza lasciare la bava del percorso, deve arrivare nel suo magazzino, subito, presto, prima che il tempo possa iniziare, il tempo che potrebbe consentire un controllo. Quintali di mercé si muovono come fossero un pacco contrassegno che viene recapitato a mano dal postino a domicilio. Nel porto di Napoli, nei suoi 1.336.000 metri quadri per 11,5 chilometri, il tempo ha dilatazioni uniche. Ciò che fuori riuscirebbe a essere compiuto in un'ora, nel porto di Napoli sembra accadere in poco più d'un minuto. La lentezza proverbiale che nell'immaginario rende lentissimo ogni gesto di un napoletano qui è cassata, smentita, negata. La dogana attiva il proprio controllo in una dimensione temporale che le merci cinesi sforano. Spietatamente veloci. Qui ogni minuto sembra ammazzato. Una strage di minuti, un massacro di secondi rapiti dalle documentazioni, rincorsi dagli acceleratori dei camion, spinti dalle gru, accompagnati dai muletti che scompongono le interiora dei container.
© 2006, Arnoldo Mondadori Editore

FONTE: www.wuz.it
FONTE FOTO: 2piu2uguale5.ilcannocchiale.it

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