lunedì 28 novembre 2011

LibroForum - La Grammatica di Dio - Stefano Benni





Stefano Benni è sempre un’incognita: aprire un suo libro significa non saper mai dove abbia deciso di portarti, ma la certezza è che – quasi sempre – lo farà con classe, stile e convinzione. "La grammatica di Dio” è un felice collage di 25 racconti, il cui titolo deriva da una riflessione di Frate Zitto: gli esseri umani sono il libro del mondo, ma non possono raccontarlo, nessuno di essi può spiegare la grammatica di Dio. Le atmosfere variano dal grigiore cupo di "Boomerang" ai toni all’apparenza surreali di "Carmela", dall’incanto di "Le lacrime" al divertimento di "Solitudine e rivoluzione del terzino Poldo", dall’amaro di "Alice" fino all’incantevole "L’istante", gioiellino nascosto in due pagine praticamente perfette a metà volume.



Difficile recensire un tale volume, proprio per l’estrema varietà dei registri espressivi usati dall’autore, che non danno tregua al lettore: una volta aperto, difficilmente “La grammatica di Dio” si lascia posare prima che sia terminata la lettura. Definirlo scoppiettante è forse eccessivo e non adeguato, ma certamente lo stile di Stefano Benni risulta avvincente e coinvolgente, tanto da far patire al lettore ogni pausa si imponga tra un racconto e l’altro. Si esce dalla lettura con la sensazione di essersi immersi nella normale giornata del mondo: quasi nulla di ciò che si è letto è impossibile, e l’insieme risulta frastornante e plausibile, come se la vita umana nelle sue sfaccettature giornaliere fosse vista da una postazione privilegiata che permetta di abbracciare una larga fetta d’umanità.


Recensione a cura di Ormina
FONTE: www.sololibri.net



Le prime pagine

BOOMERANG

Improvvisamente, un giorno, il signor Remo iniziò a odiare il suo cane.
Non era un uomo cattivo. Ma qualcosa si era rotto dentro di lui quando era rimasto vedovo. Aveva perso la moglie e gli era restato il cane, un botole salcicciometiccio, grasso e nerastro, con orecchioni da pipistrello. Si chiamava Bum, ovvero Boomerang, perché riportava indietro qualsiasi cosa gli tirassero, con prontezza e perseveranza.
Un tempo il signor Remo e Bum avevano fatto lunghe passeggiate insieme e conversato del mondo umano e canino, di Cartesio e Rin Tin Tin. C'era grande intesa tra loro. Ma ora non si parlavano più. Il signore stava seduto in poltrona guardando il vuoto e Bum si accucciava ai suoi piedi, guardandolo con smisurato affetto.
Era quello sguardo di assoluta dedizione e totale fiducia che il signor Remo soprattutto detestava.
Il mondo non era che perdita, solitudine e dolore. Che senso aveva in questo pianeta orribile quella creatura incongrua, che scodinzolava e uggiolava di gioia, e riempiva del suo peloso, sovrabbondante amore una casa desolata?
Il padrone iniziò a non dar più da mangiare al cane. Lo lasciava anche due giorni senza cibo. Ma Bum continuava a seguirlo amorosamente. Quando il signor Remo si sedeva a tavola per il suo pasto, il cane non chiedeva nulla, né si avvicinava. Guardava con mite curiosità, e negli occhi aveva scritto: se tu mangi, ebbene anche io mi sazio. E più il padrone si ingozzava, ostentatamente e rumorosamente, più tenero diveniva lo sguardo di Boomerang. E quando finalmente il cane veniva sfamato, non correva frenetico alla ciotola, no... scodinzolava composto e riconoscente come per dire: avrai le tue buone ragioni se mi hai fatto digiunare, ti ringrazio oggi che ti sei ricordato.
Il padrone, forse avvelenato dall'ultima stilla di rimorso, si ammalò. Gli venne la febbre alta e Bum lo vegliò. Nella notte, quasi nel delirio, il signor Remo si destava e vedeva gli occhi spalancati e amorevoli del cane, e le lunghe orecchie dritte, come antenne. E sembrava dire: anche la morte morderò, padrone mio, se si avvicina a te.
Nell'anima ormai riarsa del signor Remo, l'odio per quell'amore smisurato crebbe. Non portò fuori il cane per quattro giorni.
Bum aprì con la zampa la porta del terrazzo e lì pisciò con discrezione. Contrasse il suo metabolismo a venti gocce di urina e un cece fecale ogni due giorni. Non guai, né diede segni di nervosismo, solo ogni tanto guardava il giardino fuori dalla finestra emettendo un piccolo sbuffo, come un sospiro di nostalgia, ma niente più.
Il padrone guarì e, appena rimessosi in piedi, senza una ragione, tirò un calcio al cane.
Bum si nascose sotto il letto e il signor Remo si vergognò.
Lo chiamò, il cane venne. Il padrone gli fece una carezza falsa e forzata e disse:
Bum, devo abbandonarti. Mi dispiace. Non riesco più a occuparmi di te. Anzi, ma questo tu non lo puoi capire, ti detesto.
Il cane lo guardò con infinito affetto e dedizione.
Perché non lo affidò a un canile o a qualche conoscente? Per pigrizia, anzitutto. Ma anche perché ricordava una frase della moglie. Gli aveva detto: Remo, se io morissi, mi raccomando, non lasciare solo il nostro Bum.
Allora Remo si era arrabbiato per quella frase: come si poteva dubitare di questo?
E invece, povera Dora, lei conosceva bene il grumo di cattiveria dentro al cuore del marito.
Lei lo aveva abbandonato.
E abbandonando il cane, ora lui si prendeva una folle rivincita sul destino.

© 2007, Giangiacomo Feltrinelli editore

Stefano Benni – La grammatica di Dio
182 pag., 11,20 € - Edizioni Feltrinelli 2007 (I narratori) ISBN 978-88-07-01733-9

FONTE: www.wuz.it


FONTE FOTO : http://www.lastampa.it

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