venerdì 12 giugno 2009

Referendum 21-22 Giugno 2009


Il 21 e il 22 Giugno si voterà per 3 diversi referendum, inerenti l’abrogazione di alcuni articoli facenti parte dell’attuale legge elettorale. Non scriviamo, qui e ora, per convincere qualcuno a votare “SI” o “NO”, visto che neppure i sottoscritti sanno ancora cosa votare, ma per informare i cittadini sull’importanza di tale voto e dello strumento referendario.

L’Italia è stata, in Europa, uno degli ultimi paesi a istituire lo strumento del referendum: il primo paese ad utilizzare questa forma di democrazia diretta è stata la Svizzera: li, a livello federale, il referendum è previsto dalla costituzione dal 1848. Il referendum è facoltativo per ogni progetto di legge o decreto adottato dal consiglio federale; è invece obbligatorio in caso di modifica costituzionale o di adesione a un organismo internazionale. In media, ogni anno, in Svizzera, si tengono una decina di referendum. Dal 1875 ad oggi, il popolo svizzero ha votato 537 volte, accettando 257 referendum e rifiutandone 280. Tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 il referendum è entrato in vigore in quasi tutti gli stati europei democratici (in primis Inghilterra e Francia). Tranne che in Italia…
Il primo referendum istituzionale italiano fu quello del 2 giugno 1946 nel quale gli italiani furono chiamati a scegliere tra Monarchia e Repubblica. Il primo referendum abrogativo risale al 1974 e fu quello sul divorzio.
Oggi esistono nella legislazione italiana diverse tipologie di referendum, il più importante dei quali è il referendum abrogativo, perché è il solo vincolante per il nostro Parlamento (non sono infatti ammessi referendum propositivi). Questo spiega la strana forma nella quale vengono proposti: come si dice nelle trasmissioni “culturali” italiane, si deve votare sì per dire no, e no per dire sì…

Altra caratteristica del referendum italiano è il quorum del 50% + 1: cioè la metà degli aventi diritto deve recarsi a votare perché questo sia ritenuto valido. Nato come strumento cautelativo per evitare che il voto di una percentuale insignificante di cittadini potesse trasformarsi in legge, è divenuto oggi l’ennesimo strumento a favore della “casta”, che stabilisce date improponibili per l’attuazione del referendum stesso (generalmente uno dei primi fine settimana estivi, quando cioè il grosso dei cittadini si reca al mare con la famiglia) e che sistematicamente invita i propri elettori a non andare a votare, rendendo così impossibile il raggiungimento del quorum.
Fonti: “Storia della Prima Repubblica; l’Italia dal 1943 al 2003; Il Mulino, Aurelio Lepre” http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum#Unione_europea
In Italia, dal 1997 ad oggi, nessun referendum ha mai raggiunto il quorum (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Referendum_in_Italia), impresa già di per sé difficile vista la riluttanza degli italiani ad inserirsi in contesti democratici: per natura, la maggioranza dei cittadini cerca e si identifica ancora in un leader che si affacci da un balcone e che suggerisca come comportarsi, cosa pensare e quale sia la scelta giusta da fare. Che questo leader sia di destra o di sinistra poco importa.

Se non dovesse essere sufficiente tutto questo per convincere i cittadini a recarsi alle urne per il referendum, un po’ di numeri relativi ai costi: ovviamente qui le speculazioni si sprecano, con l’opposizione che triplica le cifre e il governo che lo fa passare per una spesa di pochi spicci. Ovviamente, con un po’ di costrutto, si può realisticamente pensare che la verità stia in mezzo: le cifre massime parlano di 400 milioni di euro, quelle più ottimistiche di 100 milioni.
Non vengono mai menzionati, e c’è da chiedersi perché, i rimborsi spese per tornate elettorali.
Con un referendum abrogativo del 1993, il 90,3% degli elettori votanti (77%) ha deciso di abrogare il finanziamento pubblico dei partiti, i quali hanno in breve tempo rimediato: nel 1999 arriva la legge sul “rimborso elettorale”, che viene quantificato in 800 Lire per ogni voto. Nel 2002 si passa da 800 Lire a 1 Euro e la quota di ogni avente diritto al voto lievita sempre più nel tempo: difficile stabilire a quanto sia arrivata oggi, visto la contraddittorietà delle informazioni. Anche il referendum prevede un rimborso spese, compreso quello per i promotori, impossibile da quantificare.
Non sono cifre insostenibili per uno stato, ma divengono importanti se protratte ogni anno, per ogni tornata elettorale, che sia essa politica, regionale o referendaria. La verità è che continuiamo a pagare, ma senza avvalerci di un nostro diritto fondamentale: quello di poter decidere, per una volta, con la nostra testa, cosa riteniamo giusto, e questo senza affidarci ad un santone che dall’alto elargisca verità assolute.

Nella speranza che qualcuno decida di votare, facciamo un po’ di chiarimenti riguardo ai 3 quesiti referendari:

1° e 2° quesito: premio di maggioranza alla lista più votata e innalzamento della soglia di sbarramento
Le attuali leggi elettorali di Camera e Senato prevedono un sistema proporzionale con premio di maggioranza. Tale premio è attribuito su base nazionale alla Camera dei Deputati e su base regionale al Senato. Esso è attribuito alla “singola lista” o alla “coalizione di liste” che ottiene il maggior numero di voti.
Il 1° ed il 2° quesito (valevoli rispettivamente per la Camera dei Deputati e per il Senato) si propongono l’abrogazione del collegamento tra liste e della possibilità di attribuire il premio di maggioranza alle coalizioni di liste.
In caso di esito positivo del referendum il premio di maggioranza viene attribuito alla lista singola (e non più alla coalizione di liste) che abbia ottenuto il maggior numero di seggi.
Un secondo effetto del referendum è l’innalzamento delle soglie di sbarramento. Per ottenere rappresentanza parlamentare le liste debbono comunque raggiungere un consenso del 4 % alla Camera su ambito nazionale e 8 % al Senato su ambito regionale.
All’esito dell’abrogazione, resteranno comunque in vigore le norme vigenti relative all’indicazione del “capo della forza politica” (il candidato premier) ed al programma elettorale.
In sostanza, partiti come PDL e PD non avrebbero più bisogno di creare alleanze con Lega Nord e Italia dei Valori, in quanto il premio di maggioranza andrebbe al singolo partito che ottiene più voti, su base regionale per il Senato, e su base nazionale per la Camera. Probabilmente cambierebbe di poco la governabilità del paese, almeno in Senato, in quanto il nodo è proprio il premio di maggioranza su base regionale, che non permette di costruire ampie maggioranze, ma porterebbe a creare governi più stabili perché non costituiti da una macedonia di partiti che nulla hanno a che fare l’un con l’altro. D’altro canto, per chi non si sente rappresentato da nessuno di questi partiti, si configura come una quasi eliminazione dalla scena politica.. Ma viste le ultime elezioni (al Senato sono entrati solo 5 partiti, uno dei quali, l’UDC con 3 parlamentari), la sostanza non cambia.
Per vedere nel dettaglio cosa cambierà dell’attuale legge elettorale, i seguenti due link sono più che esaustivi (notare come l’abrogazione riguardi quasi sempre i termini “coalizione di liste”):
http://www.comune.torreannunziata.na.it/ev/images/quesito1%5B1%5D.pdf
http://www.comune.torreannunziata.na.it/ev/images/quesito2.pdf

Un esempio per il Senato:
Regione Lazio (con l'attuale legge elettorale): vengono eletti 27 senatori; il premio di maggioranza va alla coalizione o alla lista con il più alto consenso che riceve comunque il 55% dei seggi. Gli altri sono ripartiti in proporzione ai voti ottenuti tra i partiti o le coalizioni che abbiano superato l'8%. Quindi PDL + Lega Nord + MPA ottengono 15 seggi (55%). Gli altri 12 ripartiti tra PD, IDV ed eventuali altri.

Regione Lazio (se vincesse il sì al Referendum): il premio di maggioranza andrebbe alla lista e non più coalizione con la maggioranza di consensi. Se il PDL si confermasse il partito più votato, si vedrebbe assegnati 15 parlamentari. Gli altri 12 ripartiti in proporzione in base alle percentuali a tutti quei partiti (anche qui non più coalizioni) che abbiano raggiunto almeno l'8% (sempre su base regionale, quindi nel solo Lazio).
Il PDL, o il PD, prenderebbe il premio di maggioranza del 55% anche se conquistasse la maggioranza solo relativa con il 32%, la cosa importante è essere il primo partito della regione. Tutti i premi di maggioranza sarebbero quindi suddivisi tra queste due forze, salvo forse qualche eccezione con la Lega al nord Italia.

Un esempio per la Camera:
Con l'attuale legge elettorale: se PDL + Lega + MPA ottengono (come è successo) la maggioranza anche solo relativa (erano al 45%) a livello nazionale, ricevono comunque il 55% dei deputati, che sono circa 347 su 630 penso. Tutti gli altri divisi in proporzione in base alle percentuali ottenute su base nazionale dai partiti o coalizioni che abbiano ottenuto almeno il 4% (su base nazionale).

Se vincesse il SI al Referendum: il partito con più consensi a livello nazionale (in questo momento il PDL) riceverebbe il premio di maggioranza, quindi i 347 deputati. Gli altri ripartiti tra le liste che abbiano ottenuto almeno il 4% a livello nazionale, anche qui non più coalizioni, ma singole liste, cioè, alle ultime elezioni, tra PD (tanti), IDV, Lega e UDC (per questi tre le briciole). Nessuno per qualunque altro partito.


3° quesito: abrogazione delle candidature multiple
Un terzo quesito referendario colpisce un altro aspetto. Oggi la possibilità di candidature in più circoscrizioni (anche tutte) dà un enorme potere al candidato eletto in più luoghi. Questi, optando per uno dei vari seggi ottenuti, permette che i primi candidati “non eletti” della propria lista in quella circoscrizione gli subentrino nel seggio al quale rinuncia. Egli così, di fatto, dispone del destino degli altri candidati la cui elezione dipende dalla propria scelta. Se sceglie per sé il seggio “A” favorisce l’elezione del primo dei non eletti nella circoscrizione “B”; se sceglie il seggio “B” favorisce il primo dei non eletti nella circoscrizione “A”. Nell’attuale legislatura, questo fenomeno coinvolge circa 1/3 dei parlamentari. In altri termini: 1/3 dei parlamentari sono scelti dopo le elezioni da chi già è stato eletto e diventano parlamentari per grazia ricevuta.
E’ inevitabile che una tale disciplina induca inevitabilmente ad atteggiamenti di sudditanza e di disponibilità alla subordinazione, perché i parlamentari subentranti (1/3, come si è detto) debbono la propria elezione non alle proprie capacità, ma alla fedeltà ad un notabile, che li premia scegliendoli per sostituirlo.
L’approvazione del referendum porterà come conseguenza l’impossibilità dei candidati di iscriversi in più circoscrizioni.
Tutto questo è ovviamente condivisibile e facilmente comprensibile anche per chi non si occupa di politica, anche se il vero problema sta nelle preferenze, che i cittadini non possono più esprimere con l’ultima legge elettorale. La vittoria di questo referendum permetterebbe comunque ai leader di scegliere nominalmente chi inserire in prima, seconda e terza posizione. Senza preferenze, la poltrona in parlamento non la si conquista, se non grazie ad un lungo e accurato leccaggio dei piani alti del proprio partito. Detto questo, era probabilmente impossibile inserire in un referendum abrogativo tale opzione.
Per chiarezza:
http://www.comune.torreannunziata.na.it/ev/images/quesito3.pdf


QUESTO REFERENDUM VA A MODIFICARE SOLO LA LEGGE ELETTORALE DELLE POLITICHE NAZIONALI.



Cristian Pezzola
Mirko Fantini

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